Treno cavallo e tram – VIII / Fies Umbertiano

[N.d.r.: C’è stata un’interruzione più lunga del previsto, speravo di riuscire a trovare qualche foto del periodo passato da mio nonno nel Veneto, ma pare davvero non ce ne siano. Il nome corretto del comune è Fiesso Umbertiano, o Fiess Umbertian in dialetto; ho lasciato che vincesse la ‘tradizione orale’. Ed è la penultima puntata.]

Mio padre era nel Veneto, a Fies Umbertiano, in provincia di Rovigo. Gli scrissi. A Verona scesi in stazione, vidi mio padre che m’aspettava. Di lì però dovevamo attraversare tutta la stazione per andare a prendere il treno per Rovigo. E in stazione due o tre tedeschi lì, due o tre lì, due o tre là… allora gli ho detto a mio padre: Zoppica, papà, fa finta di zoppicare. Io lo tenevo. Ci guardarono, si misero a ridere, poi se ne andarono via

Son stato là un anno intero. C’era mio padre, avevo gli zii. Di giorno lavoravo i primi tempi, poi scappai perché avevo paura. Mi ricordo, lavoravo con mio padre, c’era la bottega, la stalla e un po’ più in là il porcile, e mio padre teneva sempre un maiale: gli dava da mangiare, poi quando era grasso – fffffhh – e si faceva salami, tutto. Però c’erano sempre i tedeschi che giravano. Quando abitavo lì venne a trovarmi un mio cugino qua di Torino; era venuto lì a salutare gli zii e tutti vestito da fascista. Io l’ho visto nella strada: È un caso che sei arrivato fino da me vivo, togliti immediatamente quel vestito! Ti presto io un paio di pantaloni e una camicia se no tu a questa sera non ci arrivi.

Poi andai a fare il partigiano là, ho conosciuto gente, mi ha detto un mio amico: Vieni con me, andiamo nei partigiani. E ci sono andato. Lì non ti chiamavano per nome, il tuo nome era sulla lista lì, però ti davano un omonimo. E io ero Leone. Aaaarh, facevo ogni tanto. Mi chiamavano Leone. Tanti nomi c’era, tanti. Leone. Poi mi ero spostato verso Stienta, un altro paese più in là di Fies Umbertiano. E ho conosciuto una famiglia, brava gente, e alla sera non sapevo dove andare. E dormivo lì, nel fienile; di notte bisognava aggiustarsi. Chi andava a dormire in mezzo alla canapa, chi in mezzo al granoturco… Alla sera presto però, perché i Tedeschi facevano i rastrellamenti coi cani e se i cani sentivano che era passato qualcuno… Allora noi si andava la sera, poi veniva la brina, il freddo, ma noi eravamo già là in mezzo: i cani passavano e non sentivano niente. Di giorno si era tutti insieme. O si andava a fare un’azione lì, o un’azione lì…

Mi ricordo una volta si doveva andare a fare l’azione. Noi saremmo stati una quarantina di qua e una quarantina di là. Saremmo stati una novantina. A noi, andò tutto bene, e di là invece i Tedeschi avevano fatto un rastrellamento e ne avevano presi 40! Tutti e 40. Li han portati in un paesetto che non mi ricordo il nome e li han fucilati tutti e 40. Me lo ricorderò finché campo: 40 ne han fucilati.

E poi non andavo più a dormire nel pagliaio, perché avevo paura che gli dessero fuoco. Allora conoscevo una cascina, il padrone e il garzone brava gente, dormivo dove c’erano le vacche. Dentro una mangiatoia. Una volta hanno fatto un rastrellamento e io ero là sotto. È venuto a avvisarmi il garzone.

– Ci sono i Tedeschi! –

– Non mi muovo! -, gli ho fatto.

Allora lui ha aggiustato bene il mio nascondiglio con altra paglia, son passati i tedeschi, li sentivo parlare, camminare, e io là. Una statua ero, nemmeno respirare. Son andati via, è venuto il garzone, m’ha tolto tutto il fieno di sopra, io son spuntato con la bella faccina che avevo.

– Sono andati. –

– Meno male. – , e aveva appena munto le vacche.

– Hai sete? -, e m’avrà dato, eh, un litro era, eh… due secondi e non c’era più niente.

Una volta andammo in un paese vicino al canale Bianco – non mi ricordo più come si chiama – a liberare quattro partigiani che avevano arrestato, in una caserma piccola, saremo stati una quarantina noi, attraversammo il ponte e poi di là c’era la caserma. Il capo mi disse, a me e a altri due: Centro ponte fermatevi. Centro ponte ci fermammo, poi loro andarono avanti, sentimmo una sparatoria, dopo un po’ li vedemmo arrivare di corsa, quei quattro erano con noi, che li avevano liberati. Allora ci mettemmo a corre tutti in mezzo alla campagna. Poi mentre si correva si sentivano sparatorie e i camion arrivare da lontano. Erano cinque camion: due camion tedeschi e tre c’erano su i fascisti. Solo che quando loro arrivarono io ero già lontano. E il capo disse: Dobbiamo approfittare della notte. Avevo le gambe buone io, e per correre, correvo. Andiamo a nasconderci un po’ qua un po’ là, e andai a nascondermi di nuovo a casa di mio padre io, e stetti lì quattro o cinque giorni.

Mio padre aveva il porcile, un poco più in là della casa e io dovevo trovare un posto per nascondermi. Allora quella mattina ci andai, feci un buco di due metri sotto il porcile, poi misi delle traverse, poi attorno un po’ di fieno, di paglia, che facesse sporco, io volevo che facesse sporco… Così la notte andavo a dormire sotto il porcile. Potevano cercarmi, finché volevano, chi va a dubitare che lì sotto… C’era il porcile e c’erano tre tubi della stufa che uscivano. E lì entrava l’aria, per respirare. Pensa che vita era. Eh, ne ho viste di cotte e di crude da partigiano. Purtroppo c’ero anch’io dentro. Finché… non m’andava quella vita lì.

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